Direttore principale OSI
Giacinto Scelsi è un mistero: anzi, gran parte della sua musica (specie quella composta dopo il grave esaurimento mentale seguente la Seconda Guerra mondiale) rimase ignota fino alla fine degli anni ’80, mentre poco dopo scoppiarono le polemiche sull’autenticità delle sue partiture. Quello che si sa, in effetti, è che egli incideva su nastro le sequenze di suoni che immaginava, mentre altri musicisti (soprattutto Vieri Tosatti) avevano l’incarico di trascriverle in partitura: e quanta fosse la percentuale del lavoro di Tosatti rimane praticamente impossibile da stabilire. Al 1965 -- e quindi alla sua fase post-seriale -- risale Anahit (l’antico nome armeno di Venere, a cui il brano è dedicato): si tratta di un particolarissimo concerto per violino e orchestra, in cui il solista evita ogni inciso melodico per produrre invece lunghe note tenute che si fondono nelle ampie fasce sonore prodotte dai 18 strumenti. Una musica, quindi, che procede lentamente e quasi per saturazione, dove le dissonanze sono sfumate in intervalli microtonali e in continui glissandi. Scelsi ripensa la tradizionale forma del Concerto solistico ponendo il violino come centro della partitura: intorno ad esso ruota il pulviscolo sonoro di un’orchestra iridescente, in una sorta di ricerca scientifica ed astratta sul concetto di “suono”.
Non molto più noto è, almeno nell’odierno repertorio, il nome di Walter Braunfels, uno dei tanti compositori a essere perseguitato dal regime nazista come Halbjude, mezzo ebreo, e la cui musica fu bollata come entartete, degenerata: proprio risalente al fatidico 1933 è questa Fantasia scozzese (da non confondersi, va da sé, con quella ben più nota di Max Bruch), la cui prima esecuzione si tenne, per le circostanze storiche, in Svizzera, a Winterthur. Si tratta di un ampio concerto per viola e orchestra, immerso in atmosfere di derivazione straussiana (Braunfels aveva d’altronde studiato con Thuille, legatissimo al compositore bavarese) e in un unico movimento: l’ispirazione scozzese è dovuta alla citazione della canzone popolare, usata anche da compositori come Vaughan Williams e Britten, “Ca› the yowes to the knowes” (Porta le pecore sulle colline), evocata nella cadenza situata verso la metà della partitura e che dà lo spunto per una serie di variazioni presenti nel finale. Ma si può immaginare che il titolo si debba pure all’uso, frequente, dello Scottish snap, una particolare figura ritmica detta in italiano “ritmo lombardo”. Occasione preziosa, questa, di riscoprire una partitura molto poco nota ma dalla cantabilità diffusa e dalla lussureggiante orchestrazione.
Ben più famosa la Seconda sinfonia di Bruckner che è, in effetti, la quarta, dopo (in ordine cronologico) la cosiddetta “Doppio Zero”, la Prima e la “Zero”. Concepita nell’autunno del 1871, dopo che il compositore si stabilì a Vienna, venne terminata in un anno scarso per le sue quasi 2000 battute (il numero maggiore di tutte le 11 sinfonie di Bruckner, per chi ama le statistiche…). Composta tenendo presente il modello beethoveniano, è caratterizzata da un uso pervasivo delle pause (da cui il nomignolo di Pausensymphonie), ancora più evidente nella prima versione, ma più sfumata nella seconda, del 1877; dalla precedente “ufficiale”, ossia la Prima, prende la tonalità d’impianto, do minore, e da quella cronologica (la Numero 0) l’atmosfera più rilassata, meno incandescente, semmai incline ad un formalismo più rigoroso.
Tra il 1872 (anno del completamento) e il 1877, Bruckner non cessa di ritornare sulla partitura, con modifiche volte ora a semplificare l’esecuzione ora ad abbreviarne la durata: eppure Liszt, che assiste alla prima del 26 ottobre 1873, e a cui la sinfonia è dedicata, si mostra entusiasta della lectio originale. Semplificando, potremmo dire che ne esistono due versioni, quella del 1872 e quella del 1877, che stasera ascolteremo nella revisione di William Carragan.
Tipico di Bruckner è l’inizio, con un tremolo di viole e violini, sopra cui i violoncelli presentano il primo tema: e se l’Adagio, in forma rondò, ha un carattere severo, quasi religioso, come conferma l’autocitazione della propria Messa in Fa del 1868, nell’episodio del Benedictus, lo Scherzo ricorda marcatamente quello della Prima sinfonia, con una frase molto frammentata e un Ländler pastorale, forse il gioiello della partitura, che nella sua Klangfarbenmelodie sembra anticipare Mahler e Schönberg. Il finale conferma la natura ciclica della grande sinfonia, volgendo il do minore dell’apertura in un raggiante do maggiore e riproponendo il motivo d’apertura in maniera insistita, nello sviluppo e nella coda, fino alla raggiante e un po’ magniloquente fanfara finale.
Nicola Cattò
Ruolo
Direttore
Ruolo
Viola
Ruolo
Violino
Orchestra residente al LAC (Lugano Arte e Cultura) di Lugano, prosegue il suo cammino di successo sotto la bacchetta di Markus Poschner, direttore principale dal 2015.
Iscriviti alla newsletter
Scoprire in anteprima contenuti speciali.