Krzysztof Urbański
gio 26.09.2420:30
OSI al LAC
LAC, Lugano
gio 26.09.2420:30
OSI al LAC
LAC, Lugano
Programma
Witold Lutosławski
(1913 - 1994)
Mała suita (Piccola Suite) per orchestra (1951)
I. Fujarka (Allegretto)
II. Hurra Polka (Vivace)
III. Piosenka (Andante molto sostenuto)
IV. Taniec (Allegro molto)
Bohuslav Martinů
(1890 - 1959)
Concerto per violoncello e orchestra n. 1 H.196 (1930)
I. Allegro moderato
II. Andante poco moderato
III. Allegro con brio
Bedřich Smetana
(1824 - 1884)
Má vlast (La mia Patria) ciclo di sei poemi sinfonici (1874-79)
I. Vyšehrad
II. Vltava (la Moldava)
III. Sárka
Concerto diffuso in diretta radiofonica su RSI Rete Due (rsi.ch/rete-due)
Il biglietto di questo concerto vale come titolo di trasporto valido nella data del concerto indicata in tale biglietto, quale carta giornaliera Arcobaleno, tutte le zone, in seconda classe (2.)(TK)(V).
Witold Lutosławski
Mała suita (Piccola Suite) per orchestra
Prima esecuzione: Varsavia, 20 aprile 1951, Orchestra Sinfonica della Radio di Varsavia. Direttore Grzegorz Fitelberg
“Prova generale” del noto Concerto per orchestra, la partitura rielabora temi popolari secondo quella semplicità linguistica e formale imposta dal regime sovietico.
Bohuslav Martinů
Concerto per violoncello e orchestra n. 1 H.196
Prima esecuzione: Berlino, 13 dicembre 1931. Solista Gaspar Cassadó
Echi barocchi, l’influenza di Dvořák ed una scrittura di raffinato impegno per un concerto pensato per un grande solista (lo spagnolo Cassadó) poi rivisto e dedicato ad un altro ancora (il virtuoso francese Pierre Fournier).
Bedřich Smetana
Má vlast (La mia Patria): Vyšehrad, Vltava (La Moldava), Šárka
Prima esecuzione integrale: Praga, Palazzo Žofín, 5 novembre 1882. Direttore Adolf Čech
Il simbolo della musica nazionale ceca, che si lega alla tradizione del poema sinfonico ottocentesco e, contemporaneamente, fa di Smetana l’araldo dell’indipendenza della propria Patria.
1, 2, 3 GO!
Caro pubblico,
aprire una stagione è per il Direttore artistico sempre un momento di grande felicità, ma anche la riprova del grande lavoro che si cela nel costruire una stagione musicale. Creare un programma musicale è molto soggettivo e deve tener conto di più aspetti, dalle esigenze e visioni della nostra Orchestra, a quelle degli artisti ospiti, a quelle del pubblico. Un insieme di aspetti che ha come ultimo e decisivo fine quello di rendere speciali le vostre serate e farvi vivere un’esperienza unica in ognuno dei nostri concerti.
Con questa premessa mi emoziona trovarvi in questo primo appuntamento OSI al LAC (con la speranza che siate arrivati tutti con i mezzi pubblici); il fiume che ci travolgerà nella seconda parte di questo programma, la Moldava, sarà simbolicamente il nostro impulso per tutta questa stagione, sotto il cappello del Mysterium. La presenza di Direttori che già ben conosciamo e che portano un prezioso contributo e un pensiero innovativo tra i leggii dei musicisti, così come la presenza di solisti tra i giovani e di quelli più affermati del panorama musicale internazionale, grandi pagine del repertorio sinfonico, ma anche nuove scoperte, accompagneranno la nostra orchestra e insieme saranno l’acqua vitale che scorrerà durante tutta questa stagione.
Non mi stancherò mai di dirlo: la vostra presenza e vicinanza ci onora e ci gratifica. Insieme al Direttore amministrativo Samuel Flury ringrazio anche tutti i nostri finanziatori e sostenitori, che credono innanzitutto nell’Orchestra della Svizzera italiana quale patrimonio storico e culturale e rendono possibile tutto ciò che facciamo.
Buon ascolto in questa nuova stagione!
Barbara Widmer
Direttore artistico
Echi dell’Europa dell’Est, tra Otto e Novecento
Come per tutti i compositori d’oltrecortina, anche per il polacco Witold Lutosławski il rapporto con gli indirizzi culturali provenienti da Mosca fu cruciale per la propria produzione artistica: dopo l’accusa di “formalismo” rivolta alla propria Prima sinfonia del 1947, e i decreti di Ždanov dell’anno seguente, non stupisce la cautela del linguaggio che caratterizza molte pagine della sua “prima fase” creativa, in cui si situa la Piccola suite, commissionatagli nel 1949 da un gruppo strumentale radiofonico specializzato in arrangiamenti di musica popolare. L’idea, quindi, era una “musica di servizio” – come egli la definiva -- “in cui il materiale folklorico rimane pressoché invariato, ma il contesto armonico gli conferisce un carattere inedito”. In questo caso la fonte sono canzoni dell’area di Machowa, nel sud-est della Polonia, e Lutosławski ne sceglie quattro, per altrettanti movimenti: Fujarka (fischietto) è caratterizzato da una semplice melodia dell’ottavino, con l’orchestra che entra solo successivamente e con un ritmo incalzante che occhieggia al Sacre du printemps di Stravinskij (ancora inedito all’epoca in Polonia!), mentre la successiva Hurra Polka descrive una vivace festa nella piazza del villaggio, in contrasto con il terzo movimento, Piosenka (canzone), aperto da un dialogo bucolico e sereno dei due clarinetti, cui presto si unisce il flauto e poi il resto dell’orchestra, in un cantabile dolce e sottilmente melanconico. Conclusione d’obbligo con la Taniec (danza) finale, il movimento dalla scrittura più raffinata, ricco di continui cambi tra ritmo binario e ternario e connotato da una sorta di umorismo. Completata nel 1950, la Piccola suite fu arrangiata dall’autore l’anno dopo per il Festival musicale polacco: vista dalla parte della censura pubblica la sua scrittura tonale, melodica, semplice e legata al folklore ne faceva l’ideale della correttezza politica, ma è altresì un anello fondamentale nell’evoluzione stilistica di Lutosławski, una sorta di cartone preparatorio dell’importante Concerto per orchestra.
Ancora nell’Est Europa, ma in Boemia, ci porta Bohuslav Martinů, che addirittura visse i primi 11 anni della propria vita in cima alla torre di un campanile, in un piccolo villaggio: da qui un senso di isolamento, ma anche di una “visione dall’alto” che caratterizzerà tutto l’amplissimo catalogo di un compositore poi divenuto, forse per reazione, un cosmopolita a suo agio negli Stati Uniti come in Francia, fino alla Svizzera dove morirà nel 1959. Uno dei tanti modelli che ebbero influenza su di lui fu la musica barocca italiana, Corelli in particolare, e questo Concerto per violoncello, composto nel 1930, ne è una prova, anche se l’apertura sembra più rifarsi al Dvořák “americano”, con tanto di accenni di blue note, mentre il cupo secondo tema, cantato dal solista in dialogo con i fiati, ha un carattere più evidentemente ceco, così come il movimento centrale, austero e modale, che si apre ad un ampio climax prima di sfumare nel finale. Molto più connotato ritmicamente, il finale inizia con una sorta di toccata, interrotta poi da rievocazioni delle meditazioni del movimento centrale e conclusa da una coda brillante e virtuosistica. La prima versione con strumentale ridotto, eseguita il 13 dicembre 1931 da Gaspar Cassadó, venne riscritta nel 1939 per grande orchestra e affidata al dedicatario Pierre Fournier, che tenne anche a battesimo la terza versione, quella finale del 1955, e mise mano alla cadenza del terzo movimento.
Per Martinů, Bedřich Smetana era un modello anche nel trattamento della musica popolare: facendo un paragone con il gruppo francese dei Six (all’epoca viveva a Parigi), scrisse che «Smetana non scriveva le polke tali e quali le sentiva nelle danze dei villaggi, mentre invece i modernisti francesi scrivono banali foxtrot in modo identico a quelli che si ascoltano nei bar, se non peggio». D’altronde, la venerazione per il “padre della patria” musicale accomunava e accomuna qualsiasi compositore ceco: Smetana crea e dà voce all’identità nazionale, e il ciclo di sei (quattro nel progetto iniziale) poemi sinfonici La mia Patria ne è il simbolo più evidente. Composti tra il 1874 e il 1879, negli anni segnati dalla sordità ormai totale dell’autore, i sei poemi celebrano l’epopea nazionale boema, ma agganciandola alla forma del poema sinfonico, con tanto di testo programmatico (contenuto in una dettagliata lettera di Smetana a Velebín Urbanék del maggio 1879, cfr foto), sull’esempio di Liszt e Berlioz, con una strumentazione di grande ricchezza ed efficacia coloristica ed un uso ampio di miti, luoghi e tradizioni di una terra all’epoca ancora sotto occupazione asburgica. Smetana, insomma, con La mia Patria si fa cantore delle glorie passate e araldo del riconoscimento linguistico e culturale della Boemia. Dei sei poemi sinfonici, di gran lunga il più celebre è il secondo, Vltava (La Moldava), con il celeberrimo tema -- tratto da una canzone rinascimentale italiana, il “Ballo di Mantova” -- che evoca la forza trascinante del grande fiume: nel quarto d’ora scarso di durata, Smetana descrive la vita che si svolge lungo la Moldava, da una scena di nozze contadine alla ridda delle ninfe acquatiche, fino alle rapide di San Giovanni e all’entrata gloriosa a Praga, passando per la rocca di Vyšehrad, che dà il titolo al primo poema del ciclo: lì ebbero la prima residenza i sovrani di Boemia.
Vyšehrad si apre con l’assolo d’arpa, il bardo Lumir che evoca l’antico castello e le storie del passato, prima di dare il passo alla descrizione delle guerre, delle rovine, delle macerie e concludere (con una forma tripartita) con il tema iniziale, ma in un clima più raccolto e amaro. L’ultimo poema eseguito nel concerto di stasera è il terzo del ciclo, Sárka, ossia la regina delle amazzoni che giura vendetta contro gli uomini infedeli e, a capo delle compagne, ne scatena la furia. In forma quadripartita, come una mini sinfonia, il poema alterna episodi lirici nelle scene di seduzione a momenti vorticosi e drammatici, a descrivere la rivalsa delle donne guidate da Sárka.
Nicola Cattò
Krzysztof
Urbański
Ruolo
Direttore
Nicolas
Altstaedt
Ruolo
Violoncello